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insieme. Quando si batteranno, quando? Mai, mai, si batteranno? Spesso Tanimo esacerbato di Guido Soria esprime questo grido di dolore, innanzi al caporale Costantini: e, costui, sorride, crolla le spalle, e vuole esprimere che si batteranno, sì, certo, presto; e seguita a rassicurare, con lo sguardo il suo tenente Soria, che verrà l’ora in cui le talpe diventeranno dei leoni.... Forse il caporale Costantini, marchigiano, è un soldato coraggioso.

Egli si avanza verso il tenente, lo saluta e gli dice che il capitano De Sanctis ha combinato una piccola mensa, laggiù, laggiù, ove è quella baracchella di legno, quella del telefonista, e che aspetta il tenente Soria, per la cena. In trincea, tutto è approntato, per la notte. E il rapporto è finito. Costantini guarda negli occhi Soria e gli dice:

— Mi dà permesso, ora? Posso andare?

— Dove vai, Costantini?

Il caporale fa un cenno vago, verso la chiesetta del paesello, colpita, è vero, ma di cui resistono la facciata e il grezzo piccolo campanile: il cenno è stato qualsiasi, e il soldato ha volto la testa in là.

— Vai a pregare, Costantini?

Quello non risponde e sembra, al tenente, che il suo volto si sia arrossito e impallidito. Adesso si accorge, Soria, che Costantini ha un grosso involto, sotto il braccio, e un piccolo involto tenuto in mano, con precauzione, come qualche cosa che si possa rompere.

— Vai a fare una mangiata? A prendere una sbornia?

— Ho mangiato e bevuto, signor tenente.... — risponde, presto, a bassa voce, Costantini, sempre imbarazzato.

— E che porti nelle mani? Parla, perdio! — esclama, già sospettoso, il tenente.

— Porto da mangiare e da bere, a chi non ne ha....

— A qualche mendicante? A qualche vagabondo?

— No, signor tenente.... — e la confusione del caporale è al colmo.