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truci sono al riposo, e attorno ad esse, si affaticano alla loro aggiustatura, alla loro ripulitura, due soldati che portano delle lunghe bluse, unte dagli olii che adoperano, e hanno le mani nere, mentre, accanto a loro, si ammucchiano gli stracci e le pelli che sono servite ai due mitraglieri, per strigliare, come cavalli, le loro armi. Difatti, due di queste mitragliatrici splendono, nei loro metalli bruni e pure smaglianti, nella loro canna snella, nel loro fondo greve, pronto a dare fulmineamente la morte: le altre due sono schiuse, e il loro ingranaggio è scoperto, e i soldati vi si curvano, sovra, con occhi attenti e con mani dai gesti precisi. Nella corte del chiostro, un ufficiale si accosta, a loro, e guarda la loro opera, per qualche minuto, con ciglia contratte, come se studiasse quell’arme. I due soldati continuano la loro bisogna, senza parlare.

— Queste sono le mitragliatrici della terza compagnia? — chiede, a un tratto, l’ufficiale, a uno dei soldati.

— Signorsì — risponde il soldato, senza cessar di strofinare.

— Tenente Scalese?

— Signorsì.

— E dove è, il tenente Scalese?

— È su. — E, accenna al loggiato, sovra il chiostro.

— Siete in riposo?

— Da ieri, signorsì.

— Tornate all’azione?

— Dopodomani.

— Ah!

Si volta, verso il loggiato e chiama, forte, l’ufficiale:

— Scalese! Scalese!

Un minuto: il tenente Gianni Scalese si affaccia, al parapetto del loggiato.

— Chi mi vuole? Eccomi!

— Sono io, Soria. Vieni giù!

Rapidissimamente, fa le scale, Gianni Scalese, il figliuolo della tenerissima donna, che lo ha cre-