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— Debbo andare, debbo; non posso lasciar morire una donna...
— Tutte lo dicono, tutte lo minacciano...
— Questa lo fa, Altomonte: non la conosci: è partita da Roma, un mese fa, in mezzo alle difficoltà più terribili, in mezzo a tutti i rischi, i più tragici e i più esosi... È giunta venti giorni fa, in città: ed è nascosta, da venti giorni, in una stanza, ad aspettarmi e sono già tre volte, che m’invoca, che mi chiama, disperatamente... e io non posso più resistere... lo andrò, andrò stassera...
— Valli, sai a che ti esponi? T’incontrano, veggono di dove vieni, capiscono dove vai... Valli, ti vuoi perdere?
— Non importa, Altomonte, se non vado, Loreta si uccide...
— Valli, Valli — soggiunse più gravemente l’amico — sai che forse, da un minuto all’altro, noi si parte, per un’azione in grande stile? Non lo sai?
— Lo so, lo so, non me lo dire!
— Vuoi disertare?
— Altomonte, abbi pietà di me! — e gli butta le braccia al collo, nel suo strazio. L’amico tace, pensoso, tenendolo fra le braccia, parlandogli, ancora.
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Giunge a sera avanzata, Carletto Valli, nella città, poichè ha lasciato la villa patrizia, quando già vi regnava il silenzio del riposo e perchè ha sperato trovare silenzio e solitudine serale, nella città: e passarvi, quindi, inosservato. Ma, invece, dalle prime piccole vie, la città appare splendidamente illuminata, quasi incurante del pericolo, che può venire dal cielo, ove possono giungere gli aeroplani nemici: i caffè, numerosissimi, ogni tre o quattro botteghe, sono traboccanti di luce e gremiti di gente: da varii di essi, viene suono di musica e talvolta canto di donna, musica stridula e voce rauca, in dissonanza con la musica e con la voce del caffè vicino: in qualche altro