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soldati li sorvegliano. Il largo verone centrale della villa, è schiuso, e ogni tanto, un ufficiale, due ufficiali, vi appaiono, vi restano, rientrano: anche alle finestre, dietro i cristalli chiusi, qualche profilo di ufficiale si delinea. In un angolo appartato del giardino, ma poco distante dalla porta di entrata della villa, è l’automobile del generale, un automobile dello stesso colore di tutte le altre, ma più vasta, più comoda, velocissima: un soldato, un conducente, è curvo a osservare il motore, mentre un altro soldato, accanto, gli tende dei ferri e degli stracci. Accanto alla porta di entrata, sono appoggiate delle biciclette: vi è anche una motocicletta. E la larga via maestra è sempre avvolta in un nembo, fra polvere che si solleva e fumo puzzolente di benzina che si sprigiona dai neri camions, carichi di soldati, di balle, di munizioni. In certi momenti, è un rumore infernale: talvolta si cheta, per poco, e il nembo di polvere si dirada e l’aria già primaverile, porta via il fetore della benzina.

Viene, dalla porta della villa che ha varcato, dopo breve esitazione, un giovine tenente, Carletto Valli: la sua figura esile, si è fatta più piena, più robusta: la sua grazia, un po’ feminea, si è virilizzata: i suoi occhi chiari, hanno uno sguardo più deciso. Egli si avanza verso il cancello che è largamente schiuso sulla via maestra: e osserva quel mai interrotto passaggio di veicoli, di animali, di uomini, che talvolta si addoppiano, s’incrociano, si agglomerano, e si arrestano, ingombrando tutta la strada. Carletto Valli ritorna verso la porta della villa, ove si ferma a parlare con altri due ufficiali, vaghe parole, sguardi distratti, qualche fuggevole occhiata, verso la via... Adesso egli è di nuovo sul limitare del cancello: egli vede arrivare un soldato, che fila, curvo, sulla sua bicicletta, che è coverto di polvere, la persona e il viso, che ferma di botto la sua macchinetta, scende, si pianta, fa il saluto e, poi, guardandosi intorno, a voce sommessa, interroga: