Pagina:Serao - Mors tua.djvu/126


― 118 ―


— Dieci: più il caporale Martinengo e il tenente Capece.

— Conoscevano le vie?

— Fino a un certo punto, pare che le conoscesse Martinengo. È un giovine serio, è un buon soldato.

— Si saranno dispersi? Caduti in un agguato?

— Chi sa, chi sa!

E si guardano, penetrati di una penosa incertezza. Adesso, sono discesi, uno dopo l’altro, nella via alpestre e scabrosa, camminando malamente, inciampando, urtandosi, discendendo verso il campo, laggiù, verso le baracche, di cui già brillano i lumi e, fuori, vi ardono dei fuochi. A un tratto, nell’ombra della sera, un soldato che viene in su, a capo basso, affannando, e già si ode il grosso respiro della sua corsa, si butta sul petto di Sambucetti che non lo riconosce e gli grida:

— Chi sei?

— Sono Martinengo, il caporale... — prorompe, ansante, anelando, il soldato.

— Martinengo! — esclama Camillo Moles, che è sovraggiunto. — Siete salvi, dunque?

— Eh no, no, non siamo salvi, signor capitano! — risponde, l’altro, concitato. — È stata una gran brutta giornata.

— Avete perso uomini? Quanti? Parla!

— Due compagni, due fanti, morti: e tre feriti.

— Capece?

— Ferito, capitano: ferito gravissimo — e la voce del milite si fa roca.

— E dov’è Capece?

— Lassù...

— Lassù, solo, ferito, gravissimo? E lo avete abbandonato? Ma che soldati siete, voi?

— Mi scusi e mi ascolti, signor capitano — trema di dolore, narrando, il caporale Martinengo. — Abbiamo dall’alba, camminato quattro o cinque ore; non trovavamo più la strada: volevamo tornare indietro, ma il tenente Capece correva, correva sempre, avanti, avanti, chiamandoci, incitandoci.... E a, un tratto, gli è fuggita innanzi, una giovinetta...