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rore del viso. Quella luce fluida che aveva nello sguardo, si è intorbidata, nei lunghi giorni monotoni d’inazione, nelle lunghe ore inerti, nella solitudine dello spirito: e la espressione sempre eguale, è il tedio dell’ora, che somiglia a tutte le altre innumerevoli ore. Egli riprende, dalla sua tasca, una lettera giuntagli due giorni prima, ma già vecchia di data. È di sua sorella Magda Falcone: lettera contradditoria, incoerente, in cui egli riconosce l’anima oscillante di sua sorella... Ella è felice, perchè, improvvisamente, dal maledetto Carso, è giunto suo marito Mario, ma è poi, infelicissima, perchè egli è sparito, da capo, come un’ombra, e da due settimane Magda non sa più dove si trovi: Magda è sola, solissima, poichè Barberina ha passato le feste di Natale e Capodanno a Orvieto, da una sua zia e, adesso è a Sanremo, per guarirsi di una tosse ostinata, la casa di Camillo è chiusa e non si sa chi ne abbia le chiavi...

— Barberina... Barberina! — dice, a sè stesso, il marito che non ha visto un sol giorno la sua donna, in dieci mesi e cerca di raffigurarsela e quasi, dall’assenza, dalla lontananza, gli pare di averne obbliati i tratti. Barberina gli scrive, ogni tanto, delle lettere anch’esse confuse, frettolose, non rispondendo mai alle domande di Camillo, lagnandosi di non aver risposta alle sue: lettere, piene, anche, di tenerezze, di passione voluttuosa, con evocazioni sensuali, tanto da risvegliare acutamente la memoria dei sensi di chi legge.

— Barberina, Barberina! — invoca, di nuovo, Camillo Moles e tende le braccia nel vuoto, nella fredda e vuota stanzuccia. E una desolata e rassegnata nostalgia l’opprime, senza rimedio.

È sera. Il freddo aumenta, il capitano Moles rabbrividisce in quella stamberguccia, s’infila il cappotto ed esce, impaziente, incontrando il tenente Sambucetti, che viene a rapporto.

— Nessuna notizia?

— Nessuna, purtroppo, capitano.

— Quanti uomini erano?