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pietra, fumando la pipa, a cui Fausto Ardore si rivolge.

— Brutte giornate, a Sainette, amico mio?

— Brutte, signorsì — risponde, levandosi, salutando, il fante, che ha un forte accento piemontese.

— Ora, sei scampato....

Il fante guarda il tenente con occhi malinconici e dice:

— Signorsì: ma vi torneremo presto...

— Altrove, altrove, forse...

— Signorsì: ma a Sainette o altrove, è la stessa cosa.

Non vide mai, in otto mesi, Ardore, occhi più malinconici di questo soldato di Piemonte. Egli si allontana, piano, mentre il fante piemontese si risiede, sulla sua pietra, ricarica la sua pipa, fuma e guarda il fumo, coi suoi occhi carichi di tristezza. Un soldato, giovanissimo, viene verso Fausto Ardore e aspetta d’interrogarlo, mentre appare ansioso:

— Che vi è, amico? Parla.

— Signor tenente, crede che avremo una piccola licenza, adesso?

— Io non lo so, amico mio.

— Tre mesi grossi, signor tenente, che siamo in prima linea: è vero che ci alterniamo, che veniamo al riposo... Ma perchè, sempre noi, sempre noi?

— Non dire così, non sai niente degli altri! Tu sei napoletano, è vero?

— Napoletano, signor tenente, ma me la vedo anche io, col «cecchino». Solo che mia mammà è malata e io vorrei andare a casa, anche per un giorno... Io sono Carmine Bevilacqua, tenente: e mammà mia è malata, per causa mia, perchè ha capito, che sono in pericolo.

— L’ha capito?

— Si sa, si sa, io le scrivo sempre bugie, ma mammà non mi crede e capisce tutto, di me. Una piccola licenza, tenente: e torno subito, torno, torno! Carmine Bevilacqua.

M. Serao. Mors tua .... 8