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— Coraggio, coraggio, cara — le disse Marta Ardore, prendendole una mano, quasi temesse di vederla vacillare e cadere.

— Non solo bisogna aver coraggio, ma bisogna essere allegre, Carmela mia — intervenne Antonia Scalese, che aveva gli occhi splendenti e la bocca sorridente, strano splendore e strano sorriso. E dopo un fugace istante di meraviglia, fra le tre madri che guardavano Antonia Scalese, Marta le disse:

— Avete notizie di Gianni?

— Sempre, donna Marta! Una cartolina, con due o tre parole, ogni giorno. E mi basta — e puntò le sue parole, con un breve riso.

— Tutto bene?

— ....sino a tre giorni fa, tutto — disse l’altra, dopo una esitazione e come se una nube le passasse sul viso. Ma la nube sparve; e Antonia riprese a sorridere.

— Fausto, donna Marta?

— Fausto scrive, scrive lunghe lettere, a Giorgio — quella rispose, distratta, un po’ accigliata, guardando il cielo di Roma sempre più azzurro nel sole.

— Il mio grande fratello è entusiasta — soggiunse Giorgio, con la sua voce fresca e sonora.

Chinarono gli occhi le due madri tristi, Carolina Leoni e Carmela Soria e le loro labbra forse tremarono sulle parole che non dissero. Solo Antonia Scalese aveva il volto irradiato da un sorriso fluente.

— Perchè ridete, mia cara Antonia? — le chiese, austera, donna Marta Ardore.

— Perchè sono allegrissima — rispose, volubilmente, Antonia Scalese.

— Allegrissima?

— Per obbedienza, donna Marta. Gianni mi ordina, ogni giorno, di stare allegra. E io gli obbedisco — disse l’altra, mentre i suoi occhi allucinati si riempivano di pianto.

Poi soggiunse, profondamente: