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campanello del servente, suono convulso, si udì, distintamente, un lungo, stridulo fischio di treno, che si partiva dalla prossima stazione ferroviaria. Nella gran chiesa crebbe, s’ingrossò il mormorio angoscioso delle donne ploranti, degli uomini oranti: e sovra il fondo confuso e sordo delle voci, già le parole si staccavano, disordinate e incoerenti e si udivano sino sull’altar maggiore, nè potea il sacerdote astrarsene, distrarsene, non potea non raccoglierle e non esserne turbato sino alle fibre più sensibili del suo cuore.

— Figlio mio... figlio mio, Dio ti accompagni!

— Madonna Santa, due figli!... Due figli... son figli vostri...

— Vergine Santa, egli è nelle vostre mani...

— Signore, Signore... Scampatelo voi... salvatelo voi...

Ave Maria...

Ave Maria...

Salve Regina...

Allora, nel maggior gesto della Elevazione, in cui pare che le vòlte del tempio si schiudano e nel chiaro firmamento Iddio e i suoi Santi appariscano, in gloria, col Corpo del Signore, altissimo sulle genti, mentre l’unanime grido di preghiera e di dolore parea varcasse ogni limite di atmosfera, l’anima dell’officiante, sconvolta e sperduta, formulò una disperata preghiera, con le istesse lontane parole del Divin Figlio:

— Signore, Signore, se è possibile, trapassi da noi questo calice!

Squillò, fremente, a lungo, il campanello del servente: ora fioco, ora nitido; giunse, di nuovo, dalla stazione, il fischio dei treni in partenza: sospiravano, si lagnavano, proclamavano il dolore a voce alta, immemori di ogni cosa e di ogni persona, le genti genuflesse. Ma già il sacerdote era pentito della sua disperata e vana preghiera, poichè egli sapeva che «tutto era consumato», poichè la guerra ardeva da quattro mesi, al fronte: una immensa contrizione lo invadeva per essersi ribellato.