servente che era un giovin soldato, vestito in grigio verde, non si volse a scorgere, dappresso all’aitar maggiore e nelle lontane profondità della nobile chiesa, la gente che era accorsa ad ascoltar quella messa. E i primi segni, semplici o simbolici, con cui il sacerdote inizia quell’atto di dedizione e di sacrificio al Signore, i segni di croce, le genuflessioni, gli inchini, il bacio all’altare, le preghiere mentali, si svolsero, in quello assoluto distacco da ogni cosa profana. Ma quando, per la prima volta, egli si dovette volgere tutto quanto agli osservanti, agli oranti, per dire loro «Dio sia con voi» la piissima scena balzò innanzi ai suoi occhi mortali che si allargarono, quasi, per tutto comprendere, per tutto chiuderla nella loro visione. Nella vastissima chiesa, creata dal genio possente e mistico di Michelangelo, sovra la maggiore colossale sala delle Terme di Diocleziano, la luce degli altissimi finestroni si diffondea solo in alto, negli strati superiori dell’aria, e giungeva solo fioca e rara, in giù: una penombra eguale avvolgeva la compatta folla, che occupava la maestosa navata: e questa folla quasi innumerevole, appariva come una massa informe, che appena appena si diradava laggiù, verso il portale. Niente brillava, niente riluceva, su quest’agglomeramento umano: solo qua avanti, verso l’altar maggiore, essa acquistava qualche linea più precisa, essa prendeva qualche colore, e, dalla penombra, ogni tanto, sorgeva, come una fugace apparizione, un volto umano nella sua estasi triste o nella sua rassegnazione fervorosa di preci, ma, subito, spariva novellamente nella penombra, confusa nella massa. Bastò questo solo aspetto della folla, visto e inteso dall’officiante, in un solo lungo istante di benedizione, perchè egli trasalisse sino al fondo del suo cuore ansioso, ritornando alle sue divote orazioni, perchè egli sentisse e misurasse quale impeto irresistibile aveva condotto quella gran gente, poco dopo la gelida alba, a gremire l’immensa chiesa che, in tempi ordinarii, accoglieva solo i pochi