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BARCHETTA-FANTASMA 87


— Lasciami qui, te ne prego.

— Tu sei triste, Tecla. A che pensi?

— Io non penso, Bruno.

— Dimmi, chi ti rattrista?

— Nessuno può rattristarmi.

— Tecla, la tua mano è gelata e le tue labbra sono ardenti; tu soffri, tu tremi, tu vacilli…

— Muoio…

Ma in una notte cupa e profonda, dopo venti notti che l’insonnia tormentosa si assideva al suo capezzale bagnato di lagrime, Tecla sentì scuotersi tutta, come se un appello possente la chiamasse.

— Eccomi — mormorò.

E muta, rigida, con l’incesso uniforme e continuo di un automa, col lungo abito bianco che le si trascinava dietro come un sudario, col passo ritmico che appena sfiorava il suolo, coi lunghi capelli disciolti sugli omeri, con gli occhi spalancati nell’oscurità, ella attraversò la casa ed uscì sul terrazzo che dava sul mare. Aldo era là.

Ella andò a lui. Stettero a guardarsi,