duce alla piazza; sulla piazza storicamente famosa si eleva il bruno campanile, coi suoi quattro ordini a finestruole che lo fanno rassomigliare stranamente al giocattolo grazioso di un bimbo gigante; le casupole attorno sono basse, meschine, dalle finestre piccole, abitate da gente minuta. Il mare del Carmine è scuro, sempre agitato, continuamente tormentato. Sulla spiaggia semideserta non vi è l’ombra di un pescatore. Vi si profila qua e là la linea curva di una chiglia; la barca è arrovesciata, forse si asciuga al sole. Dinanzi alla garitta passeggia un doganiere che ha rialzato il cappuccio per ripararsi dal vento che vi soffia impetuoso. Presso la riva una barcaccia nera stenta a mantenersi in equilibrio; dal ponte per mezzo di tavole è stabilita una comunicazione con la terra; vi vanno e vengono facchini, curvi sotto i mattoni rossi che scaricano a riva. Ma non si canta nè si grida. Il mare del Carmine non scherza. In un temporale d’estate portò via un piccolo stabilimento di bagni;