ginocchiava e baciava la terra, adorando così la immagine fuggitiva. Ogni giorno la divina creatura si concedeva sempre più: gli appariva meno lontana, più distinta, più chiara. Era una creatura celestiale, una fanciulla bianca bianca, le cui forme quasi infantili si velavano in un abito candido. Ella compariva e nel volto circonfuso di luce, gli sorrideva; agitando il capo, lo salutava. Poi cominciava a camminare, e lui la seguiva con gli occhi intenti, movendo i passi macchinalmente, concentrato tutto nell’attenzione; ella radeva appena la terra, abbandonava i sentieri noti, penetrava tra gli alberi, appariva e scompariva, voltandosi a sorridere, lasciando che il lembo bianco del suo abito radesse l’erba, con un piccolo e lusinghiero mormorìo. Egli non osava parlarle, tremava, la voce gli moriva nella gola; bastava alla sua felicità contemplare ardentemente, con la fissità della follìa, con gli occhi aridi che gli bruciavano, il suo amore che fuggiva dinanzi a lui. Ella girava,