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cia sode e rasate come un frutto maturo in cui si possa mordere. Si trovava seducente, bellissima; ed un eroico sorriso le sfiorò le labbra. Ella si adorava; idolatrava la propria bellezza e vi abbruciava ogni giorno un copioso incenso che si univa a quello di tutti coloro che l’amavano.

— Una lettera per madonna Isabella — disse un paggio ricciuto, inchinandosi e porgendo il biglietto sopra un vassoio d’argento.

Madonna Isabella scorse la lettera. Messer Diomede Carafa le scriveva ancora d’amore, una lettera piena di fuoco che a volte scoppiava nell’impeto della disperazione, a volte si allentava e s’illanguidiva nelle divagazioni di una mestizia insanabile. Messer Diomede Carafa sapeva amare: la sua anima nobile ed eletta era aperta a tutte le squisite sensibilità dell’affetto, la sua forte anima comprendeva tutti gli slanci di una passione umana e potente; le orgogliose dame spagnole della Corte vicereale avrebbero volentieri abbandonato