pra uno sgabello, ella era ridiventata la bella, vivace signora dei convegni aristocratici, dei balli inebbrianti, dei folleggianti pique-niques. Anzi, mentre i nervi le si chetavano nel senso di riposo che dà una sala lucente, tiepida, con qualche mazzo di fiori sparso qua e là, con una folla rumorosa che si rallegra nell’apprestamento del cibo, a questa sua bella serenità si mescolava la maliziosa soddisfazione della donna che gusta la libertà, il piacere bizzarro e pericoloso della prima, audace avventura di amore. Essere in compagnia di Ferrante che l’amava, che ella amava, guardandosi negli occhi, sorridendosi, innanzi a molta gente e senza punto curarsi della gente, pranzando insieme, come due sposi innamorati, parlando pianissimamente, a fior di labbro, ciò costituiva per lei una nuova, acre, vivida, soddisfazione umana, quasi che ella esercitasse una lungamente meditata vendetta, di tanti pranzi di cerimonia, noiosi, banali, fra persone indifferenti e antipatiche. Una novella impensata trasformazione si faceva in lei: ella si sentiva fatta di umana