giunse, poichè non potea resistere all’idea del dolore di lui, Ferrante, non vedendola giungere alla stazione di Roma, trovando un telegramma invece della sua persona. Oh quelle sette ore di attesa! La pallida signora, vestita di un grande mantello bruno, tutta chiusa in un grande velo di garza bruna, snella e flessuosa nella persona, dall’andatura un po’ lenta, un po’ stanca, fu vista da per tutto, ripetutamente, nella stazione, per quel pomeriggio e per quella sera. Innanzi alle lunghe vetrine del libraio e nella sala gelida dei bagagli, camminando, fermandosi, sfogliando distrattamente un libro, aprendo un giornale illustrato; di nuovo alla sala del telegrafo, donde telegrafò a Sorrento, a due o tre persone che non la interessavano punto; verso le sette nella sala del buffet, dove prese un brodo e una tazza di caffè, malgrado che non avesse fame, seguendo con l’occhio distratto i multicolori avvisi della macchina Singer, della Coca Buton e della ferrovia lombarda ai Tre laghi; fu vista finanche fuori stazione, passeggiare in giù e in su,