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Sogno di una notte d'estate |
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dono, di risa, di canzoni: ma bastava guardare la serietà oramai incancellabile del suo viso, per intendere che eran finite, per sempre, le canzoni e le risate. Ah veramente, veramente, come l’antico audace che tentò di sollevare la cortina del tempio, come a Salammbo, figlia di Amilcare, che pose sul suo capo il velo di Tani, cosparso di stelle e commise il sacrilegio, così la povera umile fanciulla era stata fulminata perchè aveva tentato di schiudere un cuore, perchè aveva voluto entrare nel sacrario della dea. Invero, egli aveva in sè una pietà immensa e sterile, una pietà fiacca e triste, per quella creatura fulminata: non sapeva dirle più nulla, la fatalità sfugge alla discussione, e non ha conforti che l’attenuino. Infatti, fu essa la prima a parlare. Era una voce senza dolcezza, senza tristezza, non velata, non roca, ma veramente spezzata: nessun sentimento vi vibrava più: infranta. Adesso le domande che faceva, stanche, lente, sembravano l’appagamento di una mesta curiosità, un riandare sulla sventura, così, per sapere: