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Sogno di una notte d'estate 337


zurro divino, coi suoi profumi, pareva che appartenesse a Massimo e Luisa, Egli camminando con la testa bassa, con gli occhi bassi, giuocava con la mazzettina di ebano, urtando le pietruzze della via; Luisa andava accanto a lui, fissando gli occhi sul mare: ma i suoi occhi avevano un velo innanzi, il suo sguardo aveva la fissità di chi non vede. Ogni tanto levava una mano alla fronte, per respingere da parte una ciocca dei suoi neri capelli che ricadeva sempre: e quel movimento aveva qualche cosa di assai leggiadro. Quanto tempo camminarono, così, senza scambiare un detto? Nessuno di loro avrebbe potuto dirlo: presi dal loro mondo interiore, presi dall’ambiente che li aveva vinti, mancava oramai a loro la nozione del tempo e dello spazio, erano in quell’oblìo quieto, addormentatore, che vince tutti i cuori, dopo le emozioni che dà il sentimento, o che danno le cose. Massimo si riscosse pel primo:

— Che cattivo compagno son io! — esclamò. — Saranno due ore che non vi dico una parola.

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