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260 | L'amante sciocca |
dei pasti, non andava a letto, talvolta, che tardissimo, vegliando accanto a lui, leggendo un libro qualunque il cui senso le sfuggiva, o dicendo il suo rosario, o stando immobile, oramai abituata a questa vita di statua. Lui, che giammai aveva potuto lavorare con una persona presente nella stanza o anche nella casa, tollerava perfettamente quella di Adele Cima, tanto ella si rendeva piccola, minuta, inesistente. Anzi, la voleva presso a lui. Era come un mobile che si ama, su cui si posano gli occhi volentieri e le cui linee corrispondono a non so quale bisogno estetico interiore. Talvolta, in un brevissimo, lucido intervallo, era vinto dalla compassione:
— Va a letto, cara.
— No, ti aspetto.
— Io ho molto da scrivere, va, va.
— Che importa? aspetto.
— Creperai di noia e di sonno.
— No, niente. Aspetto. Tu hai molto da scrivere?
— Moltissimo: enormemente.
— Non importa, non importa.
Di amore, in lui, non un atto, non una