un amore finito, morto. Giacchè ogni parola, ogni frase di Giovanni Serra, pur restando nella più fine gentilezza da uomo a donna, pur avendo la poesia della tenerezza, diceva a Clara, che egli non l’amava più. Invano ella, con l’animo ansioso — era questa, la sua ansietà — interrogava ogni tono di voce, scrutava il senso riposto di ogni motto, rifaceva, da sola, tutto il loro dialogo, per scoprirvi una sottil luce presente. No, non l’amava più, malgrado la commozione che egli aveva, sempre, nel lasciarla, nel rivederla, malgrado il fascino che subiva, malgrado la gran tenerezza che dominava ogni suo atto. Amore vissuto tanto tempo e così ardentemente e ora sepolto sotto un mucchio di gelida cenere che una mano andava smovendo, mano sapiente che conosceva la storia di quel fuoco e di quella vampa e che la rievocava, sulla fredda cenere. Giovanni non parlava quasi mai del presente, con un atto di finezza d’animo, quasi dolendogli di non poter ancora ardere come prima, quasi sembrandogli un’offesa al suo idolo, la fiamma