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Tramontando il sole 137


aveva avuto il più palese disprezzo, questo amore si faceva più alto, più puro, più spirituale, staccato dal tempo e dallo spazio, sciolto dalla realtà dei fatti. In certe sere, in cui lui la riaccompagnava a casa, sino al portone, non volendo mai salire sopra — non voleva salire, era inflessibile, non voleva metter piede in casa sua — dopo aver ancora chiacchierato a lungo, nell’ombra, ella saliva sopra, così smorta che pareva svenisse. Nella casa non vi era che un sol lume, nella sua stanza da letto; ed ella l’attraversava, questa muta e deserta casa, all’oscuro, a tentoni, guardando nell’ombra. Ma quando giungeva nella sua stanza da letto, ella si gittava sul letto, col capo nascosto nei cuscini, piangendo, singhiozzando, sull’irreparabile:

— Che ho fatto, che ho fatto! Che amore ho perduto, per sempre, per sempre!

Acuto rimpianto e acuto rimorso! Essa, forse, nel furore contro sè stessa, esagerava, dipingendosi come l’anima femminile più turpe comparsa nella gran falange muliebre; ma non era men vero che la

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