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la mano tagliata. 59

tativa, prese un piccolo lume ad olio, lo accese, spense la lampada a petrolio e uscì da una seconda porta. Ivi si trovava una scaletta, che conduceva a una sola cameretta, al secondo piano. Rachele l’aveva occupata, dicendo che lassù vi era più aria, vi erano meno cattivi odori.

In verità, era per restare più sola, per essere più indipendente. Lassù, in quella cameretta, le pareva di essersi distaccata dall’ambiente di miseria morale e materiale che era la sua casa. Ella odiava il Ghetto e la sporcizia ebrea. La sua cameretta era nuda, ma linda. Il lettuccio era bianco, un pezzo di tappeto vecchio vi era innanzi; sulla tavola da scrivere vi erano dei libri, una cartella, un calamaio. Due o tre sedie, una poltroncina, un armadio, uno specchio, completavano il poco mobilio. La finestra non aveva tende, ma aveva delle persiane. A capo letto, una pallida miniatura rappresentava la madre di Rachele, Sara Cabib.

Ella, entrando, guardò quella miniatura. Vi si rivolgeva ogni sera e spesso nella giornata. E quella sera le rivolse uno sguardo disperato. Il suo viso si era sconvolto, sentendo tutto il contraccolpo della lotta con suo padre.

Combatteva una lotta terribile, ineguale. Suo padre, Mosè Cabib, l’adorava; ma ella era una figliuola disubbidiente ed empia, giacchè amava un cristiano, un signore, un nobile. Mosè Cabib avrebbe dato la vita per lei: ma ella sapeva che egli aveva del denaro, dove, come, quando, non sapeva: e intanto la faceva vivere in quella strada, in quella casa, in quella miseria. Mosè Cabib era il più tenero dei padri, ma un misterioso legame lo avvinceva a Marcus Henner, al Maestro. Tanti misteri, nella vita di Mosè: e tanto cruccio, in quella di sua figlia Rachele!

Ella aveva posato la lampadina ad olio sulla tavola ed era caduta sopra una sedia, con le braccia prosciolte,