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la mano tagliata. 41


— Buona notte. —

Il Maestro rimase appoggiato al parapetto, mentre Mosè Cabib si allontanava, lentamente, ritornando alla sua bottega.

Il vecchio trovò Giacobbe Verona che sonnecchiava sopra una sedia.

— Andiamo, — ripetette il vecchio.

E questa volta fu davvero. Le porte della bottega furono serrate e sprangate; Mosè se ne mise la chiave in tasca.

Giacobbe aveva un misero ombrelluccio di cotone e lo aprì: insieme, piano piano, il giovine e il vecchio si misero per la via, a raggiungere la loro casa.

Senza toccare il Corso, i quartieri eleganti e mondani di Roma, voltarono per una quantità di viuzze male illuminate e quasi deserte, traversando tutta la distanza che separa quel quartiere clericale di Roma dal Ghetto. I due parlavano poco: Giacobbe Verona cascava di sonno e di fame, mentre Mosè rimuginava nella mente tutte le parole terribili dettegli dal Maestro. Sua figlia aveva, dunque, un altro mistero nel cuore? Non bastava quello sciagurato amore per Ranieri Lambertini, il bel giovine aristocratico, di una grande famiglia? L’amore per un cristiano, per un signore, non bastava, come tormento alla sua vita? E le spalle del vecchio si curvarono un po’ più, egli abbassò il capo sul petto, come oppresso da una ignota sventura.

— Sei stato a casa, stamane? — domandò ad un tratto, a Giacobbe Verona.

— Sì, padrone.

— Per prendere la tua colazione?

— Sì: e per portare alla signorina Rachele un libro che mi aveva chiesto.

— Un libro? Che libro?

— Un romanzo.