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34 la mano tagliata.

ciaroli, di antiquari o di tutte le tre cose insieme, si chiudevano. A quell’ora, chi mai sarebbe venuto a contrattare una lampada antica di ferro battuto, un pezzo di velluto rosso stinto, magari uno di quei cofani di nozze che sono stati il delirio delle signore borghesi, innamorate della roba vecchia? Il forestiere o l’amatore passa di giorno, in via Tordinona: e da che è stato demolito il teatro Apollo, dopo l’Avemmaria, quella strada perde ogni vivacità.

Una botteguccia posta verso la fine di Tordinona, quasi presso il vecchio ponte Sant’Angelo, teneva ancora un fumoso lume a petrolio acceso: e la luce incerta dava le forme più strane a un ciarpame di robivecchi, ad ammassi di cenci sordidi, a cataste di ferri polverosi e irrugginiti, a mobili sconquassati e tarlati, a bocce di cristallo appannate, a bracieri di ottone diventato verde: tanto che, a darvi uno sguardo dal di fuori, non si arrivava a distinguere che ombre singolari in cui si agitavano, ma lentamente, due persone.

Una di esse, avvolta quasi sino ai piedi in una sudicia palandrana nera, con un cappellaccio bisunto sul capo, era un vecchio, vecchio da quanto tutti i rottami che possedeva nella botteguccia, vecchio, pareva, come via Tordinona, come il Tevere e il suo ponte Sant’Angelo. La faccia, tutta tagliata da rughe profonde, in tutti i sensi, era gialla come la cartapecora, e una gran barba bianca si partiva dalle guance, per discendere sul petto. Dei capelli bianchi, lunghi, rigettati indietro, ricadevano sul collo e avevano reso untuoso il colletto della palandrana; le sopracciglia bianche erano molto folte e assai cavi gli occhi. Tutta la fisonomia aveva una espressione di umiltà e di stanchezza: ma negli occhi, ogni tanto, lampeggiava uno sguardo vivacissimo e le labbra violacee erano sfiorate da un sorriso malizioso. Quel-