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la mano tagliata. 319


— Che t’importa, se sono pazzo? Tutti gli innamorati sono pazzi: eppure, debbono trovare chi li assista. Tu devi assistermi, Rosa.

— Ma in che modo? Io sono una povera donna, sono una serva, non posso nulla!

— Ti darò del denaro, tutto quello che tu vuoi: ma tu devi andare da Rachele.

— Rachele si chiama suora Grazia e avrà certamente pronunziato i voti. Caro signore, non mi tormentate e non vi tormentate. Fatevi una ragione. Rachele è fra le sepolte vive.

— Non me ne persuaderò mai. Tu devi andare colà.

— E se non mi riceve?

— Devi farti ricevere.

— E se mi scaccia?

— Tante volte ci ritornerai, ogni giorno, che ti vedrà.

— E se ha pronunziato i voti, e non può vedere nessuno?

— Dio sperda l’augurio; ma devi vederla, anche monaca.

— Ci vorrà un permesso del vicario?

— Te lo procurerò.

— Che cosa direte?

— Una bugia: che è moribondo suo padre, che vuol rivederla sua madre; ma bisogna che tu riveda Rachele, che tu le parli di me, che tu la induca a vedermi.

— Questa è una pazzìa, — continuava a dire agitatissima la domestica.

— Dovessi andarci tu per sei mesi di seguito, ogni giorno, tre volte al giorno, bisogna che tu veda Rachele! — replicò il conte, che era, oramai, dominato dall’idea fissa.

— Ma io ho il mio servizio, — balbettò lei, non sapendo che altro dire.

— Io ti pagherò venti servizi. È inutile, non