Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/324

318 la mano tagliata.

giorno della catastrofe, ella non aveva più osato opporsi a che Rachele Cabib entrasse in un convento. Attratta dall’antica devozione che aveva per la sua padroncina, ella non se n’era andata da Napoli, ed aveva trovato servizio presso una famiglia borghese napoletana, che abitava alla Riviera di Chiaia. Come aveva raccontato a Ranieri Lambertini, ella aveva tentato varie volte di rivedere la giovine novizia delle sepolte vive; ma costei, temendo che con Rosa riapparissero nel convento tutti i ricordi e tutte le tentazioni del mondo, si era sempre rifiutata di riceverla; e la povera serva, sospirando, aveva rinunziato per sempre al suo sogno.

Per un caso, quella sera si era trovata in via Caracciolo, mentre i suonatori ambulanti cantavano Capille nire e Carmela; e, ora, tutto il dialogo affannoso sostenuto col gentiluomo romano, e giunto adesso al suo culmine con la domanda convulsa di Ranieri che voleva per forza rivedere Rachele, aveva sconvolto le poche idee della fedele domestica. Ella balbettò:

— È impossibile, signor conte, è impossibile!

— Debbo vederla, — replicò ancora una volta l’innamorato, che era arrivato ad uno stato di delirio veggente. — E tu devi aiutarmi.

— Non lo posso fare, — disse lei, tremando.

— E perchè? — chiese lui, ansiosamente.

— Perchè Rachele è una monaca, perchè nel convento non si entra, perchè la povera fanciulla è morta per voi.

— Sarebbe morta, se ne avessero sotterrato il cadavere; ma io farei riaprire quella tomba per seppellirmi accanto a lei, — gridò lui, a cui l’impensato di quel che avveniva e tutta la sua passione ridestata davano la febbre.

— Che dite, signor mio? — mormorò lei. — Questa è una pazzia!