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la mano tagliata. 313


— Lo debbo, signore? Voi l’avete trattata così male! Voi l’avete tradita!

— Oh, Rosa, se sapessi di quale orribile tranello siamo stati vittima, tutti! Mai, mai un momento ho cessato di amare la mia Rachele; non ho peccato contro lei, neppure col pensiero! — gridò il conte Ranieri Lambertini, con l’accento della verità.

— Veramente? Oh, signore, che disgrazia! Quale brutta disgrazia!

— Dimmi, dove è? Dove?

— Dio mi assista! Qui, signore.

— Qui, a Napoli?

— Sì, sì.

— Ah! è Iddio che mi vi ha condotto! E in quale monastero?

— Nel convento di suor Orsola Benincasa, alle sepolte vive, — disse, piano, Rosa che aveva di nuovo le lacrime agli occhi.

— Dio mio! — gridò lui — le sepolte vive! Che nome orribile! E perchè è andata colà?

— Così. Voleva monacarsi e ha preferito un chiostro di clausura assoluta.

— Assoluta! E da quando vi è entrata?

— Da cinque o sei mesi. Cambiò monastero due o tre volte, perchè la perseguitavano....

— La perseguitavano? E chi?

— Chi? Quell’uomo! Il suo persecutore, la causa di tutte le sue disgrazie....

— Marcus Henner!

— Sapete il suo nome?

— Sì, lo so, Rosa, il suo maledetto nome, l’ho saputo per un miracolo, malgrado che Rachele non me l’abbia mai voluto dire.

— Ebbene, anche in monastero, costui l’ha perseguitata; ed ella ha finito per venire qui, in questo convento che mi sembra una tomba, signore mio!