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la mano tagliata. 15


— Non importa, non mi ha dato noia. Facchini badate alla roba.

— Questi stranieri sono così ostinati, — mormorò il conduttore, mentre anche lui dava mano a scaricare il bagaglio di Roberto Alimena.

— Già, doveva essere un tedesco, — disse costui, prendendo quello che più gli premeva, fra i bagagli, cioè il suo sacchetto a mano, dove conservava i suoi valori. — Dove è salito?

— A Ceprano.

— A Ceprano? Non vi sono che i tedeschi per salire da un paese come Ceprano. —

Così si avviò piano, tanto era irrigidito, seguìto dai due facchini. Adesso, era come liberato da quel senso di pena: camminando, sentiva meno freddo. E si mise nell’omnibus dell’Hôtel d’Europe con un senso di soddisfazione.

L’appartamentino fissato era quello del numero 11, su piazza Mignanelli, al pianterreno: una stanza da letto, una stanza per vestire e un salottino. Roberto Alimena rivide con piacere gli antichi camerieri e non chiese altro che del fuoco. I facchini dell’albergo appena appena depositavano i bagagli nella stanza da letto e nella stanza da toilette, che già un gran fuoco crepitava nei due caminetti. Ogni pena di Roberto si dileguò, quando si distese sovra un seggiolone, accanto al fuoco, aspettando il pranzo.

Avrebbe, veramente, voluto pranzar fuori di casa, ma all’idea di aver troppo freddo si era spaurito: sarebbe escito dopo pranzo, per andare in un teatro.

— Se non fa freddo, io resto a Roma quindici giorni, — pensò lui, nella mobilità del suo spirito e nella soddisfazione del suo corpo che aveva caldo.

Dopo poco, lo avvertirono che il pranzo era pronto: e vi andò volentieri, portando seco la pel-