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la mano tagliata. 199


— Il loro pensiero è qui, — disse la novizia, indicando la fronte. — Ma quando mi angoscia troppo, discende sul cuore, come un peso di piombo e il mio male ricomincia.

— Non pensateci, calmatevi, — mormorò suora Grazia, non osando lasciare la malata.

— Voi siete buona.

— Anche io ho sofferto.

— Così giovane!

— Ho cento anni, per i dolori, — disse la povera ebrea fatta cristiana.

— Poveretta, poveretta! — Un ultimo spasimo le contrasse la bocca.

— Ecco, l’accesso è finito, — mormorò — andatevene, sorella mia, non disobbediamo alla madre superiora.

— Non posso lasciarvi così.

— Non ho più nulla, vedete. Sto bene, — disse, con voce fievole, la inferma.

— Tutta sola, qui!

— È il mio destino. Solissima nel mondo. Chi mi amava, è sparito, — disse Serafina, a capo basso.

— Morto!

— Come se fosse morto: o morto, se volete. —

E gli occhi di suor Serafina si riempirono di lacrime: ella si fece di nuovo pallidissima.

— Non pensate al passato, — mormorò suora Grazia, a voce bassa.

— Non posso non pensarci: è il mio incubo, — disse l’altra novizia — lo sapete. Dio ha forse concesso l’oblìo?

— Non ancora, — disse l’ebrea che aveva cercato rifugio nella fede cristiana.

— Non ne siamo degne, forse, — replicò suora Serafina, abbassando gli occhi.

— Avremo questa grazia, certo.

— Speriamo in Lui! —