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194 la mano tagliata.

celletta. Era posta accanto a quella della novizia suor Serafina; la penultima verso il mare.

Suora Grazia, così giovane e così bella, interessò subito tutte le poche e antiche monache che erano colà; ma la badessa aveva dovuto impartire gli ordini di non interrogarla, di non disturbarla, giacchè, mentre le sorridevano, salutandola, poco le dirigevano la parola. Suora Grazia che era stata nel mondo ebreo Rachele Cabib, portava sul suo viso una espressione di fierezza, poco consono allo stato monacale; la sua beltà giovanile, così sfolgorante, così seducente, persisteva anche sotto quegli umili panni. Non le avevano tagliato i capelli, perchè questo sacrifizio si compie solo il giorno del voto; e le due grosse trecce non gonfiavano la cuffia bianca. Strana monaca, taciturna, con le sopracciglia aggrottate, con un viso che ancora serbava tutte le tracce delle passioni umane: strana monaca, dagli occhi che non s’inumidivano di lagrime, anzi da un fuoco interno che, forse, era odio!

Fra le due novizie, suor Serafina e suora Grazia, non si erano stabilite maggiori relazioni che con le altre monache: si vedevano, salutandosi, al coro, al refettorio, alle preghiere, nei chiostri. Non una parola scambiata fra loro: non un sorriso di più, nulla. Ma il contrasto fra i loro tipi era evidente anche agli occhi poco esperimentati delle monache sepolte vive: l’una, suor Serafina, snella, magra, bionda, già consunta dagli anni e dai dolori, coi begli occhi azzurri scoloriti, come stinti nelle lacrime, tutta preghiera, tutta raccoglimento, tutta dolcezza; l’altra, giovanissima, bruna, con le labbra rosse, con gli occhi ardenti, senza lagrime, piegandosi a pregare con lo stesso volto chiuso da un dolore che era collera. Pareva che, così diverse, le due novizie non si sarebbero mai potute intendere. Ma non fu così.