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la mano tagliata. 133


— Venti giorni fa?

— Sì. Ella si è seduta accanto al mio letto e mi ha guardata, mi ha tanto guardata, con quei suoi occhi malinconici, e profondi, e amorosi. Poi, mi ha detto, pianissimo: «Combatti, combatti, vincerai il mostro.» Io l’ascoltavo, non potendo, nel sonno, nè parlare, nè muovermi. Pure, ella intese la interrogazione del mio sguardo. La sua mano si posò sulla mia, lieve, fresca: la strinse appena, dicendomi: «Ti dò un’arme, serviti di essa.» E subito, subito dopo, sparve.

— Un’arme, un’arme? — disse Mosè, tremando, come un giunco.

— Un piccolo crocifisso.

— Un sogno! Un sogno! — mormorò Marcus Henner, interrompendo il suo strano silenzio.

— Eccolo, — disse semplicemente Rachele.

E aperto l’alto del suo colletto, trasse dal collo un cordoncino di seta nera da cui pendeva un crocifisso piccolo. Atterriti, i due uomini non osavano nè guardarsi, nè guardare il crocifisso.

— Ella è venuta a me, veramente, — sussurrò Rachele Cabib, baciando il crocifisso con devozione. — Io ho tremato di un terrore ignoto, quando, svegliandomi, ho trovato veramente questo crocifisso nella mia mano. Ella è stata qui. Ella non è morta. —

Ed essa inchinò gli occhi dove ardeva un così fiero esaltamento. Quei due non le dicevano nulla. Solo, Marcus Henner, di nuovo, guardava la fanciulla, sempre fisamente, osservando se nulla si mutasse nei suoi tratti. Nulla! Ella non subiva in nessun modo il fascino di quegli occhi che, certo, avevano su tanti un potere ammaliatore.

— Voi mi avete ingannata, padre mio, — ella riprese, con voce triste.

— Io? Io?

— Sì, voi. Voi sapete che mia madre non è