Invece di scendere all’Albergo Milano, entrò nella trattoria delle Colonne, e si mise a sedere, solo, a un tavolino, rimpetto all’onorevole intransigente di Brescia. E mentre mangiava, l’onorevole Sangiorgio contemplava quel lungo corpo dinoccolato e slogato, quella piccola testa nervosa e piena di un’indomita volontà, quegli scatti convulsi, quell’armeggìo tutto meridionale: l’onorevole di Brescia pranzava con tre altri commensali. In un altro angolo pranzavano tre altri deputati, e i camerieri si affaccendavano intorno a quei due tavolini di avventori conosciuti, dimenticando l’onorevole Sangiorgio, tutto solo, ignoto. E in quell’ambiente fittizio si sentiva rinascere, rinfrancare, riprendeva forza pel combattimento: quando, nella sera che si avanzava, risalì a piazza Montecitorio, nel vedere il palazzo del Parlamento, grande nell’ombra, egli trasalì in tutto il suo essere sconvolto. Era là il suo cuore.