Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
446 | La Conquista di Roma |
farsi riconoscere, soffrendo del caldo: ella passava per la piazza, col suo bel passo ritmico, guardando le botteghe e i viandanti. Egli trabalzò, avrebbe voluto chiamarla, gridare, per farla venir su, ma non ne ebbe il coraggio, gli mancò la voce: ella se ne andava, se ne andava, senza voltarsi: a un certo punto, ella parve ricordarsi, si voltò, dette un’occhiata a quei balconi del primo piano, vide dietro i vetri quella faccia pallida e ardente, sorrise, tornò indietro, salì su, come quando si va da un’amica, che si è vista sul balcone, — crudelmente, crudelmente. Quei convegni con un uomo che l’amava, in una casa appartata, in un salotto dove nessuno poteva penetrare, non avevano per lei nessun sapore di colpa, di tradimento.
Erano un’abitudine. Gli stringeva la mano come se lo incontrasse in una passeggiata; si faceva riabottonare il guanto, come in una festa da ballo; lo guardava francamente, negli occhi, come quando egli era nel salotto dell’Apollinare; gli parlava di cose profonde o di cose frivole, egualmente, come capitava; gli dava da leggere le lettere che si trovava in tasca; lo consultava sugli affari di famiglia; si era fami-