Pagina:Serao - La conquista di Roma.djvu/444

440 La Conquista di Roma


Malgrado andasse tardi a letto, ella si alzava presto la mattina, per abitudine giovanile di settentrionale che mai aveva potuto smettere: niuno entrava in camera sua, neppure la cameriera. Angelica ci teneva che nessuno penetrasse nel suo nido dove ella aveva pensato, sognato, dormito, nella notte: non gli pareva a lui, Sangiorgio, che la stanza da letto fosse un sacrario, dove nessun profano dovesse penetrare? — Sì, gli pareva bene, ella faceva benissimo, — rispondeva lui, turbato assai, con un calore che gli mordeva lo stomaco. Donn’Angelica non si lasciava pettinare e vestire dalla cameriera che quando andava ai balli: ella odiava quelle mani servili affaccendate attorno al suo corpo; quel chiacchiericcio volgare, quel contatto delle dita coi suoi capelli, le urtavano i nervi, la disgustavano: per molto tempo, da giovanetta, dandole fastidio, nel pettinarsi, la lunghezza delle trecce, ella le aveva fatte tagliare, portando i capelli corti, la zazzerina riccia e bruna di un’adolescente.

Un giorno, mentre parlava di ciò, sottovoce, come in sogno, Sangiorgio la pregò umilmente di sciogliersi i capelli, non ne aveva mai vista