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La Conquista di Roma | 437 |
fa solco, che consuma finanche la durezza e la freddezza della pietra.
Molto aveva da narrare donn’Angelica, per fare la storia della sua vedovanza spirituale: e la lagnanza, infinita, variava musicalmente su tutti i toni della malinconia.
Non accusava apertamente, ella, no: non una parola di violenza, d’ingiuria, le usciva dalle labbra: ma tutto quello che diceva era una recriminazione dolente e semplice, era la storia di una oppressione crescente e schiacciante, raccontata con una grande delicatezza di parole, ma con un senso interminabile di mestizia.
Egli ascoltava, Sangiorgio: e vedendola immersa in quella storia, così presa da quella che era stata la lenta sciagura del cuore, non aveva il coraggio d’interromperla mai, non osava neppure dirle quanto l’avrebbe adorata, se il destino gli avesse concesso il supremo bene di averla per moglie.
Avidamente, egli raccoglieva, da quelle labbra adorate, i dettagli, minutissimi, di quelle piccole angosce quotidiane, fremendo a ognuna di esse, sentendo quello che essa aveva sentito: egli s’impregnava di quella storia, che quasi quasi