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La Conquista di Roma 427

messa, non riconoscendo neppure qualcuno che lo salutava, in quel lieto polverio luminoso della domenica di maggio. Andava al Parlamento, ma non sapeva neppure se vi fosse seduta, era domenica: a ogni modo, andava lì per rifugio, non sapendo dove buttare il suo corpo e il suo spirito. Gli sembrava tutta nuova, tutta estranea la gente che incontrava, e come egli la guardava, sorpreso di tante facce esotiche, pareva che anche costoro lo guardassero sorpresi, non conoscendolo. In quell’ora, il viavai dei deputati, intorno Montecitorio, era continuo, era un salire e discendere di coppie d’amici, di gruppetti di uomini politici che avevano fatto colazione insieme alle Colonne, al Parlamento, al Fagiano, alle Sorelle Venete: Sangiorgio scambiava qua e là dei saluti, come trasognato. Li vedeva discorrere, li udiva discutere: passando accanto a loro, afferrava dei brani di discussione, ma non intendeva nulla. Per fortuna, ci era seduta, quel giorno.

Sedette al suo posto abituale, ordinando per consuetudine fisica le carte che aveva innanzi, udendo la voce del segretario Sangarzìa, piccola ma sonora, leggere il processo verbale. Di che