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La Conquista di Roma 421

alla tentazione di prendersela nelle sue braccia, di tenersela stretta a sè, per sempre, sino alla ultima ora.

Sangiorgio chinava il capo per non veder più quel viso solcato di pianto, quel petto che si gonfiava e alenava, come quello di un uccellino: ma stanca, ella si acchetò, lentamente, conservando ancora la malinconia di chi ha pianto, il profumo delle lagrime. Guardava il merletto del suo fazzoletto molle di lagrime e taceva.

«Perdono, amico,» disse, dopo, come se allora soltanto si ricordasse che egli era là.

«Non lo dite... non sono io il vostro amico?»

«Ohimè, sono una triste amica, io,» soggiunse ella con un sorriso mesto: «non vi allieterò certamente la vita. Val meglio perdermi che guadagnarmi, ve lo assicuro.»

«Io vi amo così, io vi amo come siete, io vi amo per questo,» soggiunse lui, con una certa violenza. Ella tacque un momento, guardando la striscia di sole meridiano che attraversava la tendina di merletto di un giallo antico e si distendeva sul tappeto, sino al mucchio di cuscini di seta rossa che aspettavano una bella donna stan-