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410 La Conquista di Roma

i febbricitanti: sonnecchiava, sognava quasi, svegliandosi in sussulto, credendo di aver udito squillare il campanello. Non era nulla: donn’Angelica non veniva. E in quell’attesa, un grande cruccio lo teneva: quando non doveva aspettare, immobile e solitario, donn’Angelica; quando non vi era ancora l’idea del quartierino, egli, in quelle ore, aveva la libertà di cercarla dovunque, al Parlamento, a una conferenza, a un ricevimento, a una passeggiata; poteva trovare un pretesto per andare, finanche, un minuto, in casa di lei: poteva, in mancanza di meglio, parlare di lei, un minuto, con don Silvio. Ma ora no. Mentre ella andava e veniva, forse a villa Borghese, forse a una visita di amiche, forse a una seduta parlamentare, mentre ella beava di sua presenza le donne, gli sciocchi, gli indifferenti, e il primo imbecille capitato poteva vederla, salutarla, parlarle: egli, che l’amava, che la desiderava, che viveva soltanto per lei, era ridotto all’inazione, all’impotenza, solo solo, fra quattro pareti, martoriato da due pensieri:

— Dove sarà? Verrà?

Prima, quando non vi era ancora l’idea del quartierino, egli faceva ancora parte del consorzio umano. Andava, veniva fra le gente, domi-