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36 La Conquista di Roma


sopra una sedia, le mani in grembo e un giornale spiegato sul petto.

Francesco Sangiorgio, vinto da quella quiete, da quell’aria calda, dalla mollezza della grande poltrona di velluto azzurro-cupo, appoggiava la testa a una mano, tenendo sempre sollevato il numero del Diritto o dell’Opinione che stava leggendo. Un sopore gli scendeva su tutti i nervi, come rilassati in quell’ambiente caldo e silenzioso; ma nel sopore, dietro la mano che gli copriva gli occhi, egli ascoltava. Se il deputato socialista voltava il foglio, se il vecchio faceva gemere una molla del suo seggiolone, Sangiorgio trasaliva: il timore di essere sorpreso dormendo, lo scuoteva, come quell’antico deputato che non aveva vergogna di distendere la sua senilità sfiaccolata e inattiva nella sala, dormendo della grossa, con un respiro roco di vecchio catarroso. Allora egli si alzava e in punta di piedi traversava la sala.

Il deputato socialista levava il capo, guardandolo fissamente coi suoi occhi maliziosi di apostolo troppo furbo: forse cercava di indovinare la stoffa di un discepolo, in quel deputato novellino e giovane; ma lo sguardo freddo, la fronte bassa dove i capelli erano piantati duramente, come