Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
La Conquista di Roma | 395 |
ho lasciate a casa tua, quel giorno; rammenta il bacio che ti ho dato, nel teatro, dopo il duello; rammenta tutti i baci, tutto l’amore; vieni con me, con me è la gioia, con me è il piacere, con me non piangerai, con me non dovrai spasimare. Vieni dunque, mi dirai tutto quello che soffri, ti consolerò: non ti dirò quello che soffro, non dovrai consolarmi.»
Ma egli chinava il capo, si turava le orecchie, chiudeva gli occhi, per non udire quella voce ammaliatrice, per non vedere quel volto farsi triste triste, diceva fra sè un nome, Angelica, il suo talismano, e pareva che donna Elena ne ricevesse il contraccolpo nel cuore, che si buttasse indietro, nella carrozza, come disperata e dicesse al cocchiere di fuggir via. Sangiorgio correva, correva, per la strada, tutte le carrozze che incontrava, erano piene; tutti gli amici che incontrava, volevano fermarlo; la folla che gli si assiepava dintorno gl’impediva di camminare; i cani gli attraversavano la via. Egli correva, correva, affannava, affannava, oramai non era più in tempo, era troppo tardi, donn’Angelica era già arrivata, sarebbe già partita, non avrebbe atteso. Quanto lungo il cammino, quanti ostacoli, quante