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innamorato. Poi, una gran voce aveva tonato in quella casa tre volte: donn’Angelica è morta, donn’Angelica è morta, donn’Angelica è morta.

Alla prima volta erano caduti in un ammasso di frantumi i mobili, alla seconda il vecchione era caduto morto, col viso in terra e le braccia aperte, alla terza le mura della casa erano crollate, seppellendo tutto, facendo una tomba di quella casa che donn’Angelica non aveva voluto visitare.

Si tramutava il sogno, continuamente. Gli pareva che nel giorno del primo convegno, in quella casa, egli, per un caso stranissimo, avesse dimenticata l’ora dell’appuntamento e si torturava per rammentarsela, le due o le tre, non sapeva bene, non giungeva a ricordare.

Poi si avviava da Montecitorio a mezzogiorno, per essere in tempo: ma incontrava in un corridoio il vecchio presidente del consiglio, che lo fermava, e, carezzandosi la barba bianca fluente, gli parlava della Basilicata, del sale, dei contadini, di cose che egli non capiva troppo bene, tanto il suo spirito era altrove.

Arrivava a sbrigarsi di costui, ma sulla soglia del portone incontrava l’onorevole Giustini, la

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