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388 La Conquista di Roma

il petto, e sentiva un gran freddo salirle dai piedini irrigiditi sino al cervello, abbassava la testa, portava il fazzoletto alla bocca. Anche Sangiorgio aveva molto freddo, col soprabito leggiero primaverile, ma non le diceva nulla, ambedue mortificati e oppressi dall’ora e dal tempo. Ogni tanto le chiedeva:

«Avete molto freddo, è vero?»

«Oh sì!» diceva lei, piano.

«Oh Dio!» ripeteva lui, guardandosi intorno, non sapendo che cosa fare per riscaldarla.

E affrettavano il passo, ma il fango inzaccherava gli stivalini di donn’Angelica e l’orlo della gonna, essi non potevano correre. Come per istinto, egli le disse di una stanza calda, come la sua, come quel salotto dell’Apollinare dove sempre divampava il fuoco nel caminetto, una stanza dove sarebbero stati soli: ella non rispose.

«Dove?» domandò ella, dopo una pausa.

Egli stette per dire, poi si fermò:

«Laggiù...» soggiunse vagamente, poi, indicando Roma.

Più altro. L’ora avanzava, cupa e fredda nella campagna deserta. Ella era così triste e spaven-