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386 | La Conquista di Roma |
trato Giustini, essi sentirono sempre più la pena di quell’amore in pubblico e intanto non prendevano nessuna precauzione, la pena di quell’amore randagio che non aveva tetto: amore vagabondo che faceva sorridere d’ironia i camerieri della trattoria Morteo a Ponte Molle, oziosi sulla porta e sul terrazzo della palazzina: amore malinconico che faceva ridere, coi suoi saluti teneri, i doganieri grossolani di Porta Angelica.
Due altri convegni furono molto penosi: la paura, oramai, si era messa in fondo al cuore di donn’Angelica e la faceva fremere al passaggio di un carrettiere, di un cacciatore: persino i canotti sul Tevere la spaventavano, le sembrava sempre che i canottieri la conoscessero e che alzassero il remo in segno di saluto. Non più parlavano d’amore: cioè non più egli poteva parlarle d’amore, ella lo interrompeva, ogni momento, sogguardandosi intorno, chinando il capo a qualche rara carrozza di forestieri che passava, arrossendo, impallidendo, respirando appena.
Un giorno di convegno, piovve dirottamente, da un’ora prima dell’appuntamento: egli si ricoverò sotto il portone di Morteo, ma non po-