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La Conquista di Roma 383

un mandorlo basso, ella si eresse sulla punta dei piedi e staccò alcuni ramoscelli rosei, odorandoli lungamente, col sorriso della felicità sulla faccia. Non ella era dunque la primavera fresca e amabile? Il fiorellino di mandorlo che ella gli donò, andò a raggiungere un mazzolino appassito di mughetti, un pezzetto di stoffa di un vestito, chiesto e ottenuto per grazia, e che cosa preziosa, impagabile, un fazzolettino di battista, orlato di merletto antico — ottenuto in una sera di disperazione, dopo tre giorni inutili di attesa, invocato come un conforto. Ella sapeva questo: e le piaceva di saperlo. Ella guardava sì, lontano, verso Castel S. Angelo, verso la nuova caserma dei carabinieri, verso Roma vecchia, in cui qualche lume cominciava ad accendersi: ma ascoltava, pur guardando altrove, tutte le parole che Sangiorgio le diceva, dolcissimamente, e crollava il capo, come una bimba lusingata. Arrivavano a Porta Angelica, così, calmati, pacificati: egli doveva andarsene per la Via Reale che va ai Prati di Castello e a Ripetta, ella per la porta che conduce a San Pietro, — ma il loro saluto era pieno di tenerezza e lungo.

Un giorno ella giunse tutta tremante. Presso