Pagina:Serao - La conquista di Roma.djvu/374

370 La Conquista di Roma


«Venite via, venite via,» ripetette lui, preso da un’angoscia di pentimento, volendo sottrarla allo spettacolo della folla.

Infatti, com’ella volgeva le spalle al panorama di Roma, il volto le si serenava e pareva che i pensieri prendessero un corso meno lugubre. La grande pace campestre del colle Pinciano, quella solitudine, quel primo fiato di primavera, quel dolcissimo pomeriggio fra il verde e il tepore dell’aria, quello sguardo innamorato e reverente con cui egli la circuiva, quella fedeltà con cui la seguiva, quel rispetto amoroso con cui le parlava, le facevano scordare l’urlìo, la gazzarra della città ammalata di carnevale, le facevano scordare che un altro mondo esistesse, oltre la campagna, oltre la primavera, oltre l’amore.

Oh, egli bene intendeva che un poco di quell’anima era sua, che gli era pietosa in quell’ambiente deserto, fra le piante, le cadenti acque della fontana, l’orizzonte agreste e semplice: indovinava che quel poco di anima femminile gli sfuggiva, che quel cuore gli si chiudeva, appena il vasto e duro orizzonte cittadino se ne impossessava, appena la grande voce della folla saliva sino alle sue orecchie.