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La Conquista di Roma 361

passare Francesco Sangiorgio. Egli gridò, di nuovo, due o tre volte, avendo le fiamme della collera sul volto:

— Vado al Pincio, vado al Pincio!

Passò. Appena fatto il gomito del viale, un gran respiro di contentezza gli sollevò il petto, un senso di calma gli si diffuse pei nervi esaltati. Entrava nella solitudine saliente e verde del grande viale, sotto la mite ombra degli olmi che fiorivano novellamente, nella primavera che veniva.

Non una persona s’incontrava nel viale che da una parte andava verso villa Medici e verso la Trinità dei Monti, dall’altra saliva al Pincio: non un viandante, non una donna, non un fanciullo. Tutti, tutti erano al Corso, per la via, nei portoni, sui balconi, sulle logge, sulle tribune improvvisate, sui fusti dei lampioni, attaccati al soffietto delle carrozze, tutti, tutti al Corso, presi dalla grande follìa carnevalesca.

Francesco Sangiorgio si sentiva sempre più rassicurato, sempre più tranquillo, montando a quell’alta pace di campagna solitaria. Ogni tanto gli arrivava un’eco fioca, da Piazza del Popolo, di voci stridule e gravi che la distanza attenuava; ma come si allontanava, sempre più questa

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