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358 La Conquista di Roma

veniva a dissuggellare le labbra chiuse e arcuate come quelle delle statue, non una parola usciva da quelle labbra. Anche ella era immobile, la piccola mano pareva di cera sul bianco della stoffa, il volto si delineava sul fondo cupo della carrozza, come un ovale chiaro: e che pensasse, che sentisse, non si sapeva, non s’intendeva. Dietro quell’apparenza di pace, dietro quel riposo delle linee, forse era alacre il pensiero, forse il cuore fortemente palpitava, forse la grande vita interiore dell’intelletto del sentimento passava per tutti i fenomeni dell’attività. E forse in lei erano penetrati sin nello spirito quella calma e quel riposo: forse ella era simile, dentro, al grande lago profondo d’acciaio che niuna tempesta mai può turbare. Ma non si sapeva nulla: ella, come sempre, era avvolta nel grande mistero della serenità.

Fra loro due, fra l’essere felice che si lasciava annegare dall’onda soverchiarne di delizia spirituale che lo assaliva senza strepito, e fra la creatura giovane, casta, quieta, serena, sedeva terzo l’amore.