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La Conquista di Roma 29

ammonticchiate; e le faccie erano tutte stanche, assonnate, annoiate, in uno sbadiglio che stirava le bocche: la sola espressione era l’indifferenza, un’indifferenza non ostile, ma invincibile. Nessuno gli badava, al deputato Sangiorgio, fermo presso il muro: viaggiatori, impiegati, facchini andavano e venivano, senza curarsi di lui. Egli aveva sbottonato il soprabito, con un moto infantile, per mostrare la medaglina, aveva chiamato un facchino, due volte, ma quello era scomparso, senza dargli retta.

Invece la gente di servizio si affaccendava intorno a un gruppo di signori in tuba, dall’aria pallidamente burocratica, che avevano l’abito nero e la cravatta bianca sotto i soprabiti abbottonati, dai baveri rialzati, con la faccia smorta di chi ha poco dormito e il contegno di persone distinte, che compiono un alto dovere di convenienza. Quando da un vagone del treno di Firenze era discesa una signora, alta, svelta, elegante, tutti si erano scappellati: poi un signore, magro, alto e vecchio, discese: il gruppo si strinse, il signore scarno salutava, la signora odorava, sorridendo, un mazzo di fiori che le avevano offerto. Dai soprabiti aperti, adesso, era una gala di