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322 | La Conquista di Roma |
cia, qui, dove tutto si riassume in un discorso, dove ogni nobile iniziativa si spreca in venticinque sedute pomeridiane e in quattordici discussioni negli uffici? Tante parole, tante parole!»
«Noi abbiamo combattuto, quando si doveva.»
«Sì,» disse lei, pensierosa a un tratto, «quelli eran tempi! Noi donne, vede, comprendiamo l’eroismo dei campi di battaglia e quello delle cospirazioni, — questo parlamentare ci sfugge.»
Tacquero un momento. Una fiammolina ardeva le guance di donn’Angelica: e le calde parole sue ondeggiavano nell’anima di Sangiorgio, vi s’imprimevano come sulla cera molle.
«Resta poi la coscienza,» riprese lei, che voleva dire tutto. «Ahimè, come restar saldi fra tanti istinti personali che scoppiano, fra tante necessarie transazioni, fra tanti equivoci? Come restar immobili, inflessibili, quando la maggior virtù per riuscire è proprio la elasticità?»
«È vero, è vero,» ripeteva lui.
«Una grande passione, la politica: lo so bene,» continuò ella, chinando gli occhi sull’aula, battendo con le dita sul velluto del parapetto, «lo sappiamo tutte noi altre, mogli di uomini politici. In questi cuori di uomini, questa passione