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316 La Conquista di Roma

senza, subito, a un sussulto dei nervi; aveva osato voltarsi due o tre volte e anche salutarla; — ella aveva risposto con un sorriso profondo, ma aveva immediatamente guardato altrove. Ora egli non provava altro desiderio che salire lassù, sederlesi accanto: ma pensava che non era forse conveniente farsi notare da tanti colleghi, darsi in spettacolo. Pure, il desiderio era così forte che si levò dal suo posto, attraversò l’aula e uscì nel corridoio, gironzando, distratto, rispondendo qualche monosillabo a chi gli parlava della riforma della legge universitaria. Rientrò, non avendo avuto il coraggio di salire su: e vergognoso della propria vigliaccheria. Presso il banco dei ministri, don Silvio Vargas lo chiamò:

«Sentite, Sangiorgio...»

E gli disse qualche cosa sopra la legge comunale e provinciale, di cui si parlava di nuovo, per la terza volta.

La simpatia di don Silvio per Sangiorgio era cresciuta rapidamente, in poco tempo: ogni volta che aveva un dubbio politico o amministrativo, lo chiamava, se lo portava a casa, lo consultava, lo conduceva al ministero, aveva con lui delle lunghissime conversazioni. Ora, di nuovo, aveva